Michela Crisostomi, è una pittrice nata ed operante nella città di Terni. Nella città umbra consegue anche il diploma di arti applicate presso l'Istituto Statale d’Arte 'Orneore Metelli' e conclude gli studi presso la storica Accademia di Belle Arti di Firenze. Il suo percorso artistico risulta estremamente interessante e poliedrico, alternando alla ricerca pittorica più rigorosa frequenti incursioni nel mondo della stop motion e del disegno animato. Giovanissima, ottiene importanti riconoscimenti nell’ambito di concorsi ed eventi culturali come il 1°premio della 1°edizione di LEI (Narni febbraio 2006) e in occasione di una mostra personale nella Galleria del Duomo di Spoleto (maggio 2005). Recentemente partecipa al progetto FONOPOLI IN MOVIMENTO “OLTRE LE COLONNE D’ERCOLE”, con catalogo multimediale con prefazione di Renato Zero e a cura di Maria Pia Fiacchini e Vincenzo Incenzo. E’ la stessa Crisostomi che fornisce una possibile chiave di lettura delle opere, smentendo il luogo comune che vuole gli artisti poco inclini nel confessare apertamente le loro segrete alchimie: 'Concepisco i miei lavori come se fossero dei ritrovamenti, cercando di creare una superficie dove il colore si insinua in modo irregolare, come un vecchio muro in cui è stato rinvenuto un antico affresco. Spesso incastono nella tela del materiale estraneo come alcuni residui metallici, con la funzione, esteticamente parlando, di restituire quella particolare sensazione di precarietà ancorata che hanno gli oggetti inutili'. La pittura di Michela Crisostomi affascina e seduce. Seduzione intesa nell'accezione nobile di 'portare a sè' l'osservatore in un percorso di tensione verso il mistero, estranea però alla velleitaria e pretestuosa volontà di svelarlo. L'arte pone così delle domande alle quali possiamo rispondere solo con altre domande, avvolta come è in una sorta di “mistero insolubile”. Quasi ieratici i grandi dettagli di donne tracciati con suggestioni luministiche che rimandano a frammenti di pellicole cinematografiche. Come non ricordare lo splendido bianco e nero del Fellini de 'La dolce vita', monumentale e al contempo decadente o le inquadrature di sapore quattrocentesco dei pasoliniani 'Il Vangelo Secondo Matteo' e 'Mamma Roma'. Nell'enormità del primissimo piano, gli occhi della Magnani diventavano improvvisamente ipnotici, più veri del vero ma vertiginosamente astratti. Anche la Crisostomi lavora sullo stesso ribaltamento del meccanismo che governa il rapporto tra la realtà fenomenica e la sua rappresentazione.
Soluzioni tecniche superbe sembrano metterci in guardia sull' effimero crinale che divide la finzione dal vero e su come la sublime vertigine dello sfalzamento tra micro e macro finisca per sfaldare l'integrità dell'immagine. Certo è che l'artista umbra ha assimilato bene la lezione dei classici del passato ma vive consapevolmente la contemporaneità, non rinunciando alle suggestioni che può produrre uno zoom rapidissimo, la soluzione di un montaggio serrato o l' inquadratura di un videoclip musicale. Anche i colori non servono più alla descrizione dell'immagine naturale del corpo. Tramite vaste campiture di colore, dosatissime nei reciproci rapporti tonali, l'artista segnala delle energie vitali che si proiettano all'esterno come apparizioni, ologrammi mai tecnologici che trovano il loro habitat esclusivamente nell'opera. Sulle tele e più frequentemente su tavole dalle robuste imprimiture dispiega velature bituminose o sfumature di grasse grafiti.
Nel dipinto dall'eloquente titolo 'Doppio' sembra ribadire l'indefinitezza del processo di rappresentazione intesa come proiezione prospettica di un oggetto su un piano. Scompone lo spazio non circumnavigando il soggetto o deformandolo per la forte velocità come fecero i sovversivi cubisti e futuristi ma collocandolo in una dimensione atmosferica. In alcuni punti la figura appare sfaldata nella luce bianca del fondo abbacinante, altre volte incorniciata o tagliata da bande scure solitamente ortogonali, forse colto ricordo di uno spazio tutto mentale-cartesiano di un Piet Mondrian. Nella serie dei 'Ritrovamenti' l'artista sfugge dalla facile tentazione del gusto tutto romantico per l'archeologico e la rovina, indirizzando la propria ricerca nell'ambito di una composizione rigorosa e misurata. Mai sentimentalismo di facile presa, mai patetismo,mai ammiccamenti all'erotismo. Solidi volumi che sarebbero piaciuti ai pittori di 'valori plastici', immersi come sono in uno spazio pneumatico, senza aria. Figure vaghe avvolte in un' aura che irrimediabilmente finisce per dissolverle dalla originaria solidità e quindi concretezza. Figure lontane anni luce da quello che si potrebbe superficialmente iperrealismo. Questa pittura non presenta nulla dell'algido tecnicismo iperrealista o citazionista, inserita in una sorta di terra di nessuno tra emozione e razionalità, impianto classico e gestualità informale. La tecnica mai condiziona il risultato, rivendicando a se stessa la dignità intellettuale prima che manuale. Già lo scultore Antonio Canova tra settecento e ottocento si pose tali problematiche, cercando uno scarto sufficientemente funzionale a non far sovrapporre il proprio sentimento all'opera. Lo scultore di Possagno risolse affidando ad altri la realizzazione degli esecutivi, modellando però passionalmente i bozzetti, con impeto e quasi espressionistica potenza. L'opera appare così sospesa tra la memoria del suo concepimento e la sua realizzazione. Michela Crisostomi mette in campo altre modalità, stemperando nel suo studio le emozioni, facendole decantare assieme agli olii e alle terre che usa per dargli un corpo. Il novecento ci ha consegnato in eredità i frammenti del bello: Michela come Penelope, pazientemente li compone e li disfa.
Fabio Grassi. Marzo 2009.
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