F A B I O G R A S S I
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Teatro

"SEGNI DI SOGNI", LA MOSTRA DI BOZZETTI E MODELLINI SCENOGRAFICI DI FABIO GRASSI



Alessandro Marabottini Marabotti considerava la scenografia "un’arte effimera", perché la sua prima e fondamentale caratteristica è quella di nascere per uno spettacolo e morire con esso. E’ vero! Ma fino a un certo punto! Infatti se è stato possibile fare una storia della scenografia dall’epoca del teatro greco sino ad oggi, lo è stato proprio grazie ai bozzetti scenografici, che ci sono giunti, aiutandoci notevolmente a capire come una certa opera teatrale fosse interpretata dal gusto del tempo. Se infatti la scenografia ha il compito di esaltare i contenuti simbolici e non di uno spettacolo, che oggi può essere teatrale, cinematografico, lirico, televisivo, o musicale o altro, grazie a questa sua funzione essa ha la necessità di sopravvivere come testimonianza di un gusto artistico di una data epoca. E così è anche necessario che ci siano mostre di opere di scenografia di grandi artisti e di giovani emergenti, come il Nostro Fabio Grassi. La sua educazione nel campo artistico è di stampo prettamente pittorico, contrariamente alla tradizione scenografica che vuole impegnati in quest’arte per lo più architetti.

Comunque non mancano esempi di illustri pittori, come De Chirico, Savinio e molti altri che si sono cimentati con grande successo e con spirito fortemente innovativo in questo campo. Nel 1993 il nostro giovane scenografo consegue il diploma di maturità di arte applicata – decorazione pittorica, presso l’Istituto Statale d’Arte "F. Muzi" dell’Aquila con il massimo dei voti, e nel 1998 consegue la laurea in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Perugia "P. Vannucci", sempre con il massimo dei voti e in aggiunta la lode. Frequenta diversi corsi di specializzazione nel campo, tra cui ricordiamo quello tenuto dalla famosa costumista Nanà Cecchi, figlia del grande costumista Dario Cecchi, presso l’Accademia dell’Immagine all’Aquila.

Molti sono gli allestimenti scenici di sua firma o in collaborazione con altri, e numerose sono le partecipazioni a mostre sia collettive che personali.

In uno dei suoi primi bozzetti, "Scenografia televisiva", due belle teste, opere di scultura, emergono enigmatiche, gigantesche, arcane in un intreccio di elementi geometrici e architettonici, che hanno il compito di suggerire una spazialità immensa ma non indefinita. Il richiamo con la presenza "ambigua" delle due sculture ad ascendenze di forte sapore dechirichiano è molto evidente, come lo è altrettanto quello suggerito dall’intreccio architettonico-geometrico all’arte astratta geometrica di un Veronesi, di un Soldati, di un Magnelli.

Il suo interessamento per l’opera lirica ci è testimoniato dai bozzetti e da modellino per la "Turandot" di Puccini, dai bozzetti per "Il mistero Jacopone" di Carlo Pedini e per l’"Orfeo ed Euridice" di Gluck.

Nella "Turandot" prevale un impianto scenico architettonico, ispirato alle scene fisse dell’antico teatro romano, come ci è testimoniato dai resti del teatro romano di Sabratha, in Libia (II sec d.c.), ma ingentilito da una decorazione di sapore veneziano, in onore di Gaspare Gozzi, autore della favola della crudele principessa. La pagoda nella parte estrema destra della scena è una chiara denuncia del luogo ove si svolge la storia. Non manca il tanto amato elemento pittorico nei bagliori luminosi e colorati del cielo, che in un bozzetto assumono un infuocato tono crepuscolare per esaltare l’oro che decora la città cinese.

   L’eleganza delicata e aerea dell’arte gotica italiana caratterizza i bozzetti de "Il mistero Jacopone", in cui reminiscenze martiniane e masoliniane ingentiliscono pittoricamente l’elemento architettonico presente. Il colore cupo, "bituminoso", è da Fabio Grassi preferito perché gli permette di giocare, scenicamente parlando, con i pochi ma vividi barlumi di luce, che rendono più essenziale e asciutta la spazialità della scena, ricordando maliziosamente le tecniche scenografiche di Appia. Questa poca luce, che investe il cupo colore, fa emergere, dietro esili architetture, rocce-montagne, che evocano la iconografia della pittura medioevale italiana.

Seguitando, semmai più frettolosamente, nell’analisi degli altri bozzetti esposti, quali quelli del "Caligula" di Camus con la regia di Mehdi Kraien (1995), della "Fedra" di Seneca, ove è vivo il ricordo del mai tanto compianto Burri, vediamo il colore bituminoso, caratteristica dello stile del nostro giovane artista, usato per incastonate, come splendenti gemme, gli sfolgorii di luce al fine di raggiungere una semplificazione spaziale, drammaticamente austera, che si ispira al già citato Appia.

Il contenuto simbolico e fantastico della saga sassone, proposta da "Merlino" di Michel Riò, ha invece suggerito a Grassi toni, luci, colori, sempre più misteriosi, ma meno drammatici, più luminosi, immersi in una linearità agile e saettante di sapore liberty. Bellissimi i tre cavalli, che richiamano i giocattoli di legno del futurista Depero, la cui realizzazione in macchina scenica è ospite permanente al Museo "S. Giuliana" di Perugia.

 

Giannamaria Valentini

L’Aquila, luglio 2000

 

 

 

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